Come collettivo abbiamo deciso di provare a confrontarci con una chiacchierata, sabato 20 alle 16:00, con chiunque abbia voglia di riflettere insieme su alcuni temi che ci stanno a cuore: l’autogestione degli spazi occupati, le modalità di organizzazione di iniziative/concerti, le criticità di una “scena” che sta scomparendo.
Questi scritti vogliono quindi essere un punto di partenza, uno stimolo alla discussione.
Tanti sono gli interrogativi che abbiamo sollevato durante le nostre assemblee, per questo abbiamo preferito pubblicare più di un contributo: ognuno/a delle persone che ha scritto ha approcciato le questioni in modo differente, ci sembrava che una sintesi le avrebbe impoverite.
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Il collettivo NNS nasce dalla volontà di alcuni punx di partecipare attivamente ed ideare iniziative dove l’obiettivo è quello di creare uno spazio di condivisione di idee, conoscenze e confronto rispetto ad alcuni temi che ci sono cari, quali l’autogestione come valorizzazione dell’orizzontalità nelle decisioni, l’autoproduzione come strumento per la comunicazione di idee, la critica e contrapposizione dei poteri dominanti, la lotta alla repressione, sostenendo gli spazi occupati, liberi da logiche di mercato, che attraversiamo.
Uno spazio che necessariamente deve essere libero da episodi di violenza, discriminazione ed incomunicabilità.
Per creare questo spazio liberato, stimoliamo la partecipazione attiva a conoscere, mettersi in gioco, sperimentare e a non delegare a nessuno.
Benchè l’approccio da consumatore sia qualcosa a cui siamo abituati, poichè è sicuramente comodo, pensiamo anche che sia limitante, poichè ti mette in una posizione di delega passiva e dipendente.
Abbiamo la volontà di fare da ponte verso questo tipo di confronto e pratica, anche per questo, tendiamo a non costruire iniziative sulla fornitura di un’altro tipo di “prodotto” (ingresso concerto, birra, ciao) rispetto a quello che può offrire un locale commerciale, o su identità sonore particolari o un’attitudine superficiale.
I gruppi che vedrete durante le nostre iniziative, le performance, i generi musicali proposti, non hanno l’obiettivo di grande richiamo delle masse (anche se diventa sempre più necessario sostenere con forza crescente i prigionieri e la lotta alla repressione, sostegno che ha caratterizzato ogni iniziativa fin’ora realizzata dal collettivo).
Il nostro auspicio è che le nostre iniziative diano una spinta propulsiva a fare rete, dare spazio di espressione a chi non ce l’ha creando connessioni.
Per questi motivi e per poter creare un circuito di relazioni il collettivo è itinerante e nomade.
Non delegare! Partecipa!
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NNS: un collettivo nato quasi spontaneamente per provare a soddisfare delle esigenze e rispondere a delle domande comuni. Innanzitutto: perché le occupazioni anarchiche sono semi vuote? Perché alcuni discorsi e pratiche sembrano non circolare più, se non in una versione stereotipa e incartapecorita? Perché tanti concerti che vedevamo negli squat ora vengono organizzati nei locali, con buona pace di tutti? Intorno a queste domande si sono sviluppati i nostri incontri, le nostre riflessioni, le nostre iniziative. L’autogestione al giorno d’oggi non sembra andare di moda. Organizzare qualcosa facendo conto sulle proprie forze, senza qualcuno deputato a decidere più di altri e senza nessun guadagno economico, è forze poco compatibile con il mondo ipervelocizzato del tutto e subito, del click su Amazon che ti porta anche le mutande a casa. No, l’autogestione è sicuramente una modalità complessa, dove ogni risultato viene dalla volontà di conoscersi l’un altro e mettersi in discussione. Niente scorciatoie, niente ricette facili. Ogni settimana ci si vede e ci si confronta, provando a farne uscire qualcosa di bello. Non vogliamo certo mitizzarla, anche perché i rischi sono tanti: quelli di non essere compresi, quelli di non riuscire a dire la propria, quelli di creare un nuovo codice o insieme di regole non scritte a cui doversi uniformare. Questo aspetto è tornato varie volte nelle nostre discussioni, e ci rendiamo conto che è importante non innescare meccanismi di esclusione o di semplice riconoscimento simbiotico nella tribù. Sì, ci riconosciamo in un atteggiamento antiautoritario nei confronti di tutto ciò che ci circonda, con l’inevitabile odio per chi l’autorità la esercita in tutti gli attimi delle nostre vite, ma queste idee devono germogliare e essere messe alla prova, non rimanere appannaggio di un gruppo di amici. Vogliamo ampliare i nostri orizzonti, conoscere altri e altre, arricchire le nostre esistenze. Se l’autogestione comporta dei rischi, bisogna dire però che sa anche dare tanto. Rispetto alla vita che ci spingono a fare, tra facebook-serate di devasto-lavoro o studio-chiusura in casa, l’assemblea è un piccolo luogo non alienato, dove ci si guarda negli occhi e gli scontri, se avvengono, sono reali. Non altre finalità, non l’insopportabile concorrenza o la noiosa piacioneria da post sul social. Nell’organizzare alcune iniziative insieme tante questioni si sono sollevate da sé. Piccole cose, forse frivolezze per alcuni, ma che celano forse discorsi importanti, ai quali non pretendiamo di avere risposte. Fare o no un evento Facebook delle iniziative, considerato che quasi tutti noi usiamo il malefico social ma che non vorremmo entrare nelle sue logiche? E’ un po’ un leitmotiv delle nostre assemblee, tanto che ormai ci ridiamo su. Quanto è giusto dare di rimborso ai gruppi che suonano, nel momento in cui ci interessa provare a coinvolgere anche artisti che non hanno sempre fatto parte del “giro”? Come coinvolgere i gruppi e gli avventori in modo più attivo? Nel nostro piccolo, abbiamo provato a fare delle cose. Delle iniziative di pomeriggio, innanzitutto, per provare a dare spazio ad una socialità diversa rispetto a quella del sabato sera, dove alcol e droghe hanno troppo protagonismo. Dei workshop, per provare a mettere in pratica delle conoscenze insieme. La bellavita come modalità di condivisione, perché tutti si sentano a casa e contribuiscano alla giornata. Non ci interessa essere i camerieri di nessuno, se non nel momento in cui proviamo ad alzare dei soldi per prigionieri o individualità che hanno scelto di vivere infrangendo le regole di questo sistema asfissiante. Tanto c’è ancora da fare, da dire e da proporre. Speriamo che un confronto su tutte queste tematiche possa spingere ancora più in là i nostri desideri, le nostre pratiche, i nostri tentativi.
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Ci siamo svegliati di soprassalto, come in quei momenti di dormiveglia in cui ti senti cadere nell’ abisso. Quell’abisso lo posso/lo possiamo chiamare noia, pigrizia, disillusione, perdita di speranze, normalizzazione o ancor peggio rendersi conto di essersi dimenticati il motivo per cui abbiamo scelto di condividere degli spazi e dei momenti in cui stare insieme.
Ci siamo interrogati spesso su quanto diamo per scontato che esistano certe situazioni e quanto siamo pronti a imbandire una tavola di critiche (a volte superficiali, a volte meno) che ci portano ad allontanarci invece di spingerci a ricostruire quei ponti che nel tempo creano macerie di incomprensioni e malumori.
Una delle poche cose in cui credo/crediamo è il potere del linguaggio nelle sue varie forme di espressione e partire da questa condivisione, forse renderà quei ponti più solidi.
Dove non siamo, dove non vogliamo andare?
Qui ed ora, citazioni di quello che vorremmo.
Nofu, 2018.
Ancora una volta torniamo ad interrogarci sul significato di autogestione e di autoproduzione, e di che significato esse possano ancora avere ad oggi. Ancora una volta, dunque, torniamo a chiederci cosa stiamo facendo e perché lo stiamo facendo.
Cosa vuol dire autoprodurre e autoprodursi? Al di là dei fiumi di inchiostro che sono stati spesi a questo riguardo, vorrei sottolineare che autoprodurre sé stessi e il mondo da cui siamo attraversati vuol dire in primis combattere la visione del mondo che vede come dato, naturale, e dunque eterno, il proprio sé e quello che ci circonda, sia esso ambiente naturale, o seconda natura sociale e culturale. Quando si diceva “l’origine dell’uomo è la storia”, si intendeva proprio questo: non esiste una essenza, una natura umana, non esiste un mondo intoccabile, naturale ed eterno. Piuttosto che un’essenza umana, un’assenza umana. E l’autoproduzione indica proprio la capacità dell’uomo di essere assente a sé stesso, assente ad un proprio fondo che gli dà un’origine ed un fine univoco: vuol dire la capacità di crearsi e di creare ciò che ha intorno, senza considerare nulla come immutabile. Autoprodurre è cioè creazione senza fondo. Il mondo del capitalismo finanziario e spettacolare, si è ammantato, tramite algoritmi, di immodificabilità, e tramite l’accumulazione di spettacoli, di infinita legittimazione tramite la creazione di immaginari. Tutti noi siamo parlati da discorsi che non vorremmo accettare, ma da cui siamo costruiti. Ed è a partire da questa consapevolezza, dal guardare l’abisso senza mediazioni, che possiamo partire e capire dove trovare l’attrito per combattere ciò che non siamo e ciò che non vogliamo. È a partire dalla critica della naturalità di ciò che ci circonda, che possiamo iniziare finalmente ad agire e a creare in maniera an – archica, dal greco cioè senza fondamento. E questa mancanza di fondamento viene esposta e si rende visibile ogni volta che si pratica l’autogestione e l’autoproduzione. Laddove ci pensiamo come ingranaggi di un sistema economico e spettacolare, attraverso l’autoproduzione e l’autogestione capiamo di poter essere delle potenzialità inespresse. Capiamo cioè che oltre al ruolo, alla natura e al destino a cui ci ha assegnato il mondo in cui viviamo, possiamo anche essere possibilità e testimonianza di un mondo-altro.
Qui ed ora, citazioni di quello che vorremmo. Il senso dell’autogestione penso sia qualcosa di simile a questo. Quello a cui dovremmo ambire è di testimoniare la possibilità di un modo-altro di agire, di un mondo-altro in cui vivere già a partire dal qui ed ora. Per questo la bella vita, per questo non considerarsi né camerieri né clienti, né musicista né spettatore. E fino a qui tutto bene e tutto molto bello. Ma questo punto di vista pecca di romanticismo, pecca di mancanza di analisi dei rapporti materiali in cui siamo soggetti e assoggettati, pecca di ottimismo e astrazione u-topistica, cioè dal greco, di mancanza di luogo. Quello a cui dovremmo ambire non è l’utopia, ma l’eu-topia, cioè un luogo bello, da creare qui ed ora, ma senza fuggire dalla realtà, bensì combattendola. Perché al di là delle sterili dicotomie tra costruzione e distruzione, figlie della tradizione teorica occidentale, la stessa creazione è distruzione e viceversa. Nel momento in cui l’autogestione, l’autoproduzione, si fermano ad una “autogestione dei propri ghetti” come diceva qualcuno, perdono la loro forza insurrezionale e rivoluzionaria, per diventare un innocuo quieto vivere per persone che non ce l’hanno fatta all’interno della “società dei normali”. Ed in questo modo non solo ripetono le dinamiche del mondo di sopra, ma perdono anche di ogni forza dirompente. La pratica dell’autogestione non può quindi essere astratta dalla pratica della diffusione dell’autogestione, dunque dalla distruzione del mondo che ci schiaccia alla monodimensionalità del ruolo economico e sociale. E la distruzione è sì fine a sé stessa, espressione senza fine – se non lo fosse ci inseriremmo in una temporalità marxista fatta della dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione, dialettica che porta con sé una temporalità autoritaria, prima che una politica autoritaria – ma oltre ad essere fine a sé stessa, non è feticizzazione del vuoto che crea. Perché il vuoto che crea, non è vuoto, bensì apertura, di possibilità, di pratiche, di esperienze. Autogestione ed autoproduzione cioè non vogliono dire fuga dal mondo in cui viviamo, ma analisi ed azione su questo stesso. Se la divaricazione non viene superata, rimarremmo per sempre vittime o di una autogestione di ghetti concessi dalla società, o di una distruzione per il feticismo del creare vuoto, e non per l’attraversamento delle sue rovine.
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Proviamo a guardarci attorno per un attimo. Sicuramente vedremo tatuaggi, piercing, A cerchiate, magliette con teschi ecc…
Questa estetica mi riporta ad anni molto più ricchi di conflittualità, durante i quali effettivamente ci si interrogava su dove andare e sul modo in cui farlo.
Lungi da ogni tipo di nostalgia e mitizzazione di quegli anni mi chiedo “cosa è rimasto di quella conflittualità e propulsione?”
Mi chiedo se non siamo solo dei nostalgici di quell’estetica e di quella musica chiusi in una stupida vetrina nella quale ci sentiamo protetti dalla realtà alla quale cerchiamo di sfuggire.
In un momento in cui ogni tipo di sottocultura è stata inglobata dal sistema, dobbiamo nuovamente guardarci intorno e chiederci dove siamo e dove vogliamo andare.
Riappropriarci della nostra facoltà di autodeterminarci è tutto ciò di cui abbiamo bisogno per esaltare le nostre esistenze.
Noi oggi proviamo a farlo attraverso l’utilizzo e la diffusione (perlomeno nei nostri “ambienti” nei nostri “giri” e fra i nostri amici) di pratiche orizzontali, autogestione, confronti vis-a-vis.
Vorremmo che il dibattito fosse direzionato verso il desiderio di ognuno e verso la ricerca di un ritrovato modo di far si che i nostri momenti condivisi, che siano concerti piuttosto che proiezioni, spettacoli, presentazioni di libri, benefit ecc..non siano solo poco più di una copia del sistema, e soprattutto non necessariamente superficiali!